Alla fame di cemento delle nostre società occidentali si contrappone, quasi per un beffardo contrappasso, il proliferare di strutture abbandonate, costruite e mai utilizzate, spazi rovinati da edifici incompleti e lasciati a se stessi, tra detriti e sporcizia. Dall’osservazione del degrado delle aree urbane e metropolitane è nato il progetto (Im)possible living – e il sito impossibileliving.com – una sorta di censimento digitale delle incompiute nel mondo.
L’obiettivo di (Im)possible living, a parte il lavoro di catalogazione, è quello di sensibilizzare chi vive le città e vede ogni giorno quegli edifici abbandonati, e stimolare quanto possibile il recupero. Perché infatti costruire ex novo, quando ci sarebbero tante strutture da valorizzare e recuperare? Se lo sono chiesto i fondatori del progetto Daniela Galvani e Andrea Sesta, i quali, con uno spirito idealista, sperano che la community online possa corrispondere poi a una comunità reale sul territorio. Galvani è un architetto esperta di edilizia sostenibile, mentre Sesta un ingegnere che lavora per Vodafone.
Dopo il lancio del sito impossibleliving.com nel 2011, le segnalazioni sono fioccate, e dalle circa 350 del primo anno sono ora più di mille. Foto e informazioni sugli edifici non sono limitati all’Italia, in quanto anche molti utenti stranieri, soprattutto tedeschi, spagnoli, irlandesi e inglesi, hanno dimostrato di apprezzare il progetto basato sulla riqualificazione.
La seconda fase del progetto, o fase operativa, è quella di fare di (Im)possible living una start-up, con sette professionisti che analizzano il mercato immobiliare per appurare se i recuperi siano poi effettivamente praticabili nella realtà, contattando i proprietari e cercando il dialogo con le comunità locali. Una bella svolta che dal virtuale rende più bello e abitabile il nostro ambiente reale.